Devo ammetterlo, mi sento un po’ stupida.
Ho passato da un bel pezzo l’età dei diari segreti, ma glie l’ho promesso, e devo mantenere la parola data.
Il diario, il mio diario, il diario che terrò per tutta l’arco di questa follia e che alla fine, dopo averglielo fatto leggere, brucerò come buon augurio, è un libricino dalla copertina blu, con gli angoli smussati. Nessun disegno, le pagine sono bianche, senza neanche le linee guida da usare durante la scrittura. Quando l’ho trovato in cartoleria, dopo averlo sfilato dall’espositore, l’ho aperto e l’ho annusato. Mi ero scordata quanto mi piacesse l’odore della carta.
Non ho idea da dove cominciare a raccontare quello che mi è capitato in un solo giorno. Da quando Mervin mi è morto fra le braccia a questo momento, che sono seduta sul divano, perché in camera no, non c’ho il coraggio di entrarci.
La speranza che muore e diventa uragano di distruzione, probabilmente è una metafora calzante a quello che è susseguito a quando lui si è afflosciato fra le mie braccia.
Il pianto, le grida le urla che mi sono lasciata sfuggire inginocchiate sul pavimento del Tempio dei Herentas era una minima parte del dolore che mi ribolliva in testa.
Ho pianto, sputato maledizioni verso l’umana per cui si è sacrificato, preso a pugni il pavimento nella speranza di farmi male. Di sostituire il dolore con uno improvviso che mi mettesse k.o. Ho pregato che il cervello si accartocciasse e si spegnesse, di svenire. Di morire. Ma non è successo nulla di tutto questo.
E me la sono presa un po’ con tutti, almeno credo.
Amina che mi abbracciava. Danica che provava a farmi riprendere. C’era anche qualcun altro, una ragazza, ma non ho idea di chi fosse, e nelle condizioni in cui ero, potrei anche avermela bella che immaginata. Con Kevorin no, stranamente, ma forse perché quando si è chinato per prendermi Mervin dalle braccia,ero ancora abbastanza lucida da vedere quanto anche lui fosse disperato per la situazione.
Me ne sono andata dal Tempio e con le ultime forze sono transitata in cantina, al Neko, ho preso a pugni la palla da boxe con tutta la forza che avevo, mi sono spaccata le mani e alla fine sono collassata per terra.
Quando mi sono risvegliata era primo pomeriggio.
Mi sono allenata con Isabella, quella nuova. Sinceramente non mi ricordo che ci siamo dette, diciamo che ho cercato di metterla in guardia più possibile sui pericoli che girano per Tokyo, dallo smog alla storia della Necrosi Infernale.
Dopo averla spompata per bene sono rientrata in casa, e ho fatto la sciocchezza di entrare in camera da letto. E’ stato uno shock.
Una coltellata dritta al cuore.
Entrare, sentire il suo odore, ma non trovarlo lì come al solito, è stato devastante. Sono caduta in ginocchio e sono strisciata fino al corridoio per cercare di scappare a quella sensazione di vuoto angosci...
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